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mente mi meravigli ed inorridisca, quanto il vedervi intenti a blandire le vostre miserie, a dissimulare i pericoli che vi sovrastano, ed affrettarvi a bandirne l’imagine, ove ella vi si presenti alla mente.
P. — E di che modo?
A. — Stimi tu che v’abbia un ammalato di così poco senno, che da dubbiosa infermità travagliato, non ne sospiri caldamente la guarigione?
P. — Ho per fermo che non ve n’abbia di cotali.
A. — Or bene; e crederesti che diensi uomini pigri ed incuranti così, che di niuna guisa s’adoprino a raggiunger quello a cui sospirano senza fine?
P. — E ciò molto meno può essere.
A. — Bada, che se tu m'accordi queste due cose, sarà mestieri che me ne consenta altresì una terza.
P. — E qual sarebbe?
A. — Che somma deve reputarsi la stoltezza di chi, dopo lungo e profondo meditare, conosciuta la propria miseria, non ne desidera il fine; e come l’abbia desiderato una volta, non vi si travagli dietro con ogni ingegno a conseguirlo compitamente. Perchè è manifesto che, siccome questa terza cosa non può venir meno se non dal difetto della seconda, così la seconda dal difetto della prima. Ond’è necessario che quella prima