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gnamente collocati, m'intrattenni alcun tempo con loro. Avvenne che un dì, nell'aggirarmi pei colli i quali son posti oltre l'Enza, sui confini di Reggio, m'innoltrassi nella selva che dicono Piana. Innamorato ad un tratto della bellezza di quella natura, mi posi nuovamente al lavoro dell'Africa, e ridestati gli spiriti che pareano assopiti, scrissi alcuni versi in quel dì e seguitamente parecchi altri ne' vegnenti; finché tornando a Parma, ed allogata una solinga e tranquilla casa, che dopo comperai, ed è di mia ragione anche adesso, con tanto di ardenza proseguii nell'impreso poema, che ne stupisco tuttora. Di già varcato il trentaquattresimo anno, feci ritorno al fonte di Sorga e alla mia solitudine oltre l'alpi. Poscia ed in Parma e in Verona feci lunghe dimore e dovunque, la divina mercè, fui caramente accolto, assai più che conoscessi di meritare. Come buon tempo trascorse, Jacopo di Carrara il giuniore, simile a cui non so se dell'età sua v'ebbe mai signore, anzi dico fermamente che no, risaputa per fama la mia celebrità, con lettere e messaggi sin al di là delle alpi, quando colà stanziava, e in qualsivoglia luogo d'Italia, cominciò a pregarmi, e per molti anni, affinchè quale amico me ne andassi a lui. Ond'io finalmente, sebbene non isperassi di crescere la misura della mia felicità, divisai di farlo contento, e vedere