tunque il fervore dell’età e della complessione mi trascinasse al piacere, sempre il mio pensiero ebbe a schifo cosiffatte bassezze. E non appena toccato il quarantesimo anno, mentre ancor mi sentiva vigoroso e robusto, di tal guisa m’uscì dall'animo ogni turpe appetito, che ne perdetti sin la memoria, come se non avessi mai guardato a donna. Locchè annovero tra le mie più singolari venture, e ne ringrazio Iddio; il quale, in età ancor tanto fresca, volle liberarmi da un servaggio così vile ed odioso. Ma passo ad altre cose.
Per esempio altrui, non in me, provai che voglia dire superbia, e benchè uomo dappoco, pur mi stimai da meno che il vero: così soventi volte a me nocqui, agli altri mai. Bramoso oltre ogni credere delle oneste amicizie, con tutta fede le coltivai; epperchè so di parlar vero, ad alta fronte mi glorio, che sebbene d’indole molto sdegnosa, dimenticai ben presto le ingiurie, ed i benefizii tenni sempre fissi nella memoria. E in ciò m’arrise la sorte, che non senza invidia, domesticamente usassi con principi e re, e nobili personaggi avessi ad amici; se non che toccommi la sciagura comune all'uomo che invecchia, di piangere assai spesso chi si ama. I più ragguardevoli monarchi del mio tempo, mi furono cortesi sì di onori che di affetto; ed essi, non io