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uomini della mia tempera si appone la taccia di pigri e di vili.

A. — E l’opinione del volgo turberà la tua pace? del volgo che non giudica mai sanamente, che mai non chiama le cose col vero lor nome? E tu, se ben rammento, non ne facevi un tempo verun conto.

P. — Nè mai l’ebbi in minore estimazione che adesso. Di siffatti giudizii tanto mi cale che di quello d’una mandra di zebe.

A. — Or via, e che sì ti commove?

P. — Nessuno fra tutti i miei coetanei ebbe di me più discrete brame; e a nessuno, siccome a me, tante difficoltà s’attraversarono a contendergli il passo; ciò è che amaramente mi cruccia. E se ponessi a troppo alto segno la mira, costei che del mio e di tutti i cuori è conoscitrice, invoco a testimonio. Ella che legge nel più chiuso de’ pensieri, ben vede che, per quanto la mente trascorresse tutti i gradi onde si sale, giammai non ebbi a perdere la serena tranquillità dell’animo, cui stimo doversi anteporre ad ogni bene. Perciò giurando odio a quelle condizioni che abbondano di affannose cure, ebbi ognora a preferire la mediocrità, nè co’ detti solo, ma sì ancora co’ fatti m’attenni a quella sentenza d’Orazio.