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P. — Infelicissimo colui che invidia ad un infelice!

A. — Ma pure la vi deve essere questa cosa che più delle altre ti spiaccia.

P. — Nol so.

A. — Vorrai tu convenirne, ove io te la dichiari?

P. — Sì schiettamente.

A. — Sei sdegnato colla tua fortuna.

P. — E non mi sarà forza odiare la superba, violenta e cieca fortuna; la quale senza, verun riguardo, tutto quanto volge sossopra ?

A. — Non v’ ha persona che di ciò non si lagni; ma ora parliamo de’ tuoi risentimenti in particolare. Or vorrai tu tranquillarti, se io ti mostri che ti lamenti a torto?

P. — Ti togli un’ assai malagevole impresa. Però consento, ove tu giunga a riescirvi.

A. — Pare a te che la fortuna ti sia poco cortese.

P. — Anzi ella è con me avarissima, iniquissima, superbissima, crudelissima.

A. — Non uno solo è il malcontento, come presso il poeta comico, ma infinito è il gregge. E tu sci di quei molti, comechè ti vorrei tra' pochi. Siccome però antica è la malattia, e appena si potrebbe guarirla con nuovo rimedio, mi lasceresti ritentare l’usato?

P. Fa a tuo senno.