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le ha messe barbe troppo profonde, non basterà lo svellerlo a fior di terra, ma si dall’ime radici, ove non vogliasi che rigermogli. Non so poi da che parte por mano all’opera, tanto essa m’atterrisce; ma perchè la cosa ti paia più distinta ed agevole, farò di scorrerne i sommi capi. Dimmi adunque che stimi innanzi a tutto recarti maggior molestia.
P. — Quanto veggio, ascolto ed intendo.
A. — E niente v’ha di tutto questo che t'aggradi?
P. — Ben poco, o nulla.
A. — Fosse almeno che t’allettassero le cose buone! Ma, e non v’ha nulla che in particolar guisa t’incresca?
P. — Già tel dissi.
A. — Ciò è un effetto di quell’accidia che sì t’opprime. Or bene; ed io credo che sieno i fatti tuoi quelli, di che prendi maggior fastidio.
P. E gli altrui non meno.
A. Questo altresì è rivo che sgorga dalla stessa fonte. Ma, a parlare con qualche ordine, è poi vero che tanta amarezza ti dieno i tuoi fatti?
P. — Te l’ho a ripetere le cento volte? T’aggiungerò solo ch’essi mi annoiano meglio che io non possa significare.
A. — Ti saprebbe male ciò stesso, onde altri t’invidia?.