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che nelle altre; di provare cioè una non so quale falsa dolcezza mista all’amaro; perchè tutto in lei è tristo, misera, aspro ed orrendo, tutto mena alla disperazione, e a quegli eccessi che trascinano gl'infelici al precipizio. Oltre a ciò, frequenti sì, ma brevi e momentanei sono gli assalti che mi danno le altre passioni; ma questa maligna così tenacemente mi stringe, che nè giorno nè notte allenta le sue catene; ed allora non è luce che mi risplenda, ma notte di inferno, non vita che io goda, ma acerbissima morte; e quello che stimo colmo d’ogni sventura si è, che mentre di cotal guisa mi accuora e dolorosamente m’affrange io mi senta preso da una cotal voluttà che non posso strapparmi dalle sue braccia senza provarne rincrescimento

A. — Egregiamente mi parlasti della tua malattia; di corto ne saprai ancor la cagione. Dimmi frattanto di che così fieramente ti crucci? forse del rapido passare di queste temporali cose, d’un qualche dolore nel corpo, ovvero d*alcun altro oltraggio dell'ingiusta fortuna?

P. — Se l’uno o l'altro de’ miei nemici mi movesse guerra , non io mi ricuserei dal tenergli fronte; ma castoro tutti ad un tempo movono in gran frotta ad assalirmi.

A. — Dichiarami più in particolare ciò che t’arrechi maggior gravezza.