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un’immobile pietra, anzi che provare nelle membra cotanto vivo commovimento.

A. — E ciò appunto è quello che principalmente t’allontana dalla meditazione delle divine cose. E la celeste dottrina di Platone egregiamente c’insegna a tener l’anima puro, e sciolto d’ogni terreno impaccio, se aspiriamo d’accostarci a leggere negli arcani della divinità, alla quale è congiunto il pensiero del nostro essere mortale. E a questa effetto ci è bisogno di spegnere le corporali libidini, e cancellare ogni men che casta imaginazione. E ben sai se io dica il vero, tu, che queste dottrine imparasti in Platone, alla cui lettura avidamente attendevi non ha molto tempo.

P. — Ciò è di fatto, e con vivo desiderio e grande speranza m’era posto a leggerne gli scritti; ma la novità della lingua, e il subito dilungarsi del maestro, mi ruppero a mezzo il disegno. Però gl’insegnamenti di cui favelli, io li appresi si da lui che da altri Platonici.

A. — Quando si tratti del vero, poco monta il sapere chi ne sia stato il maestro; benchè talora l’autorità dell’insegnante giovi non poco.

P. — E di un tanto uomo principalmente, del quale mi si scolpì nell’animo quanto dice Cicerone nelle Tusculane: »Platone, quando anche non mi recasse ragione alcuna: vedi