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s’affanna del passato, del presente e dell’avvenire insuperbisce tra le miserie; consapevole della propria debolezza, si vede inferiore ai vermi più abbietti; e con sì breve vita, incerta età, inevitabile fine, egli si trova esposto a mille maniere di morte.

P. — Ahi qual cumulo di guai! io quasi mi pento d’essere nato uomo.

A. — Eppure fra tanta debolezza e miseria, ti sembra d’essere così ricco e potente, da disgradarne qualsiasi Cesare e re, per quantunque si voglia grandissimo.

P. — E chi disse mai questo? ti ho parlato io di ricchezze o potenze?

A. — Ma v’ha egli maggior ricchezza che non patir difetto di cosa alcuna? maggior potenza che non essere comandati? perchè i monarchi e i signori della terra, che sono doviziosissimi, anch’essi vanno senza d’innumerevoli cose; e sino i condottieri d’eserciti, sono in balìa di coloro cui sembrano imperare, e temono quelle schiere da cui attorniatisi rendono formidabili altrui. Cessa dallo sperar l’impossibile, e contento delle umane sorti, impara a tollerare sì la ricchezza che la povertà, e tanto il dominio che il servaggio. A qualunque modo tu viva, non ti verrà mai fatto di riscuoterti da un giogo, cui è forza accollarsi anche ai re. E tu non potrai ciò conseguire, se non allora che, poste sotto i piedi le