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AL VOLUME II. 29


Ma vedi omai le porpore — Sovra de’ fior dipinte
     Dal loro sen dischiudere — II rosso di lor tinte:

Tinte di sangue Adonio, — Di baci d’amor fatte,
     Da’ rai del Sol vermigli, — Da gemme e fiamme tratte.
                  Ami domane, ec.

Col suo comando Venere — Dalle sue Ninfe chiede
     Che a’ sacri boschi mirtei — Volgan sommesse il piede.

Alle fanciulle socïo — Va il pargoletto Nume;
     Ma se de’ strali ei gravasi, — Ozioso chi ’l presume?

Ite omai, Ninfe impavide; — D’ogn’opra Amor riposa:
     Che ignudo e inerme ei vadasi — Si vuole, e l’arme posa.

Vietato fugli il compiere — Ogni pensier di male
     Coll’arco o cogl’ incendii, — O col vibrar lo strale.

Pur, Ninfe, state in guardia, — Che bello è il Nume alato:
  Quando Amor nudo trovasi, — Tutto è del pari armato.
                  Ami domane, ec.

Ecco a te, Vergin Delïa, — Da Venere mandate
     A te simili vergini — D’ egual pudor dotate.

Chiediam sol una grazïa: — Deh! lascia che le selve
     Monde del sangue siano — Delle trafitte belve.

La Dea d’amor medesima — Vorrebbe te pregare,
     Se una pudica Vergine — Sapesse a sè piegare.

Alle sue feste aggiungere — Vorría la sua presenza,
     Se fosse convenevole — A verginal decenza.

Cori potresti scorgere — Già da tre notti in feste,
     Sparsi a drappelli unanimi — Gir per le tue foreste.

Tu li vedresti scorrere — Ad ora fra mirtine
     Capanne, e ad ora avvolgere — Serti di fiori al crine.

Quivi si trova Cerere, — Nè Bacco vedi absente;
     De’ vati il Nume armonico — Ivi sta pur presente.

Tutta la notte in cantici — Si veglia, se ’l concedi;
     Regni ne’ boschi Venere; — O Delia, tu recedi.
                  Ami domane, ec.