Ma vedi omai le porpore — Sovra de’ fior dipinte
Dal loro sen dischiudere — II rosso di lor tinte:
Tinte di sangue Adonio, — Di baci d’amor fatte,
Da’ rai del Sol vermigli, — Da gemme e fiamme tratte.
Ami domane, ec.
Col suo comando Venere — Dalle sue Ninfe chiede
Che a’ sacri boschi mirtei — Volgan sommesse il piede.
Alle fanciulle socïo — Va il pargoletto Nume;
Ma se de’ strali ei gravasi, — Ozioso chi ’l presume?
Ite omai, Ninfe impavide; — D’ogn’opra Amor riposa:
Che ignudo e inerme ei vadasi — Si vuole, e l’arme posa.
Vietato fugli il compiere — Ogni pensier di male
Coll’arco o cogl’ incendii, — O col vibrar lo strale.
Pur, Ninfe, state in guardia, — Che bello è il Nume alato:
Quando Amor nudo trovasi, — Tutto è del pari armato.
Ami domane, ec.
Ecco a te, Vergin Delïa, — Da Venere mandate
A te simili vergini — D’ egual pudor dotate.
Chiediam sol una grazïa: — Deh! lascia che le selve
Monde del sangue siano — Delle trafitte belve.
La Dea d’amor medesima — Vorrebbe te pregare,
Se una pudica Vergine — Sapesse a sè piegare.
Alle sue feste aggiungere — Vorría la sua presenza,
Se fosse convenevole — A verginal decenza.
Cori potresti scorgere — Già da tre notti in feste,
Sparsi a drappelli unanimi — Gir per le tue foreste.
Tu li vedresti scorrere — Ad ora fra mirtine
Capanne, e ad ora avvolgere — Serti di fiori al crine.
Quivi si trova Cerere, — Nè Bacco vedi absente;
De’ vati il Nume armonico — Ivi sta pur presente.
Tutta la notte in cantici — Si veglia, se ’l concedi;
Regni ne’ boschi Venere; — O Delia, tu recedi.
Ami domane, ec.