giustizia ed al bene comune conferisce, che i popoli primitivi sogliono procedere quasi a tentone. Nè buon soccorso vien loro dalla Religione, o dalla scienza, o dai maggiori ingegni: l’una, eroica, imaginosa e troppo spesso crudele colla ragione non consente; i conati dell’altra, quasi di fanciullo che ignaro d’ogni pericolo muove i primi suoi passi, sono incerti e vanno sovente falliti. La storia del sapere nella Grecia ne faccia prova. Nelle Fisiche tanto parve facile l’affermare quanto riuscì difficile il coglier nel segno; ebbero vita le Matematiche e degnamente curarono l’esattezza e il legame logico dei raziocini, ma fu vita iniziale; credettero di sovente i filosofi di raccogliere in un proprio sistema tutto il vero, onde l’una scuola venne all’altra contrapposta, e gli uomini di Stato e le plebi li ebbero, come si esprime il Bonghi, «in conto di gnote vaniloqua ed oziosa»1. Seppur vale il genio che, quale Prometeo, rapisca alla divinità la scintilla del vero; le leggi prime de’ Sapienti sono, non v’ha dubbio, monumento d’eterna ricordanza, ma col volger degli anni si mostrarono difettose e si dovettero correggere coll’esperienza. A questa si volsero i Romani e per tale ragione «i giureconsulti di Roma, siccome sentenzia Portalis, sono ancora gli istitutori del genere umano»2. Essi non si argomentarono di rinvenire tutto ad un tratto le buone leggi: ma, con lento lavorio di lunghi secoli, costitui-
- ↑ Delle relaz. della Filosofia colla Società. Milano 1859.
- ↑ Pescatore. Logica del Diritto P. I. C. VIII.