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monete1. Affermava la moneta non costituire la ricchezza2 combattendo così un pregiudizio che dominò nelle classi popolari fino a’ di nostri; a togliere il quale (tanto è vero che non ogni male vien per nuocere) giovò fra noi lo spaccio coatto e pur tranquillo della moneta cartacea; reputava savio partito il porre una costante equazione fra il valore effettivo ed il nominale della moneta, proposta accolta oggi per tutto come fondamento del sistema monetario. Maestro più tardi di Economia, egli si era proposto di applicare l’insegnamento a tutte le parti della scienza, il che per cagioni indipendenti dal suo volere non gli venne fatto. Ma scrisse qualche cosa, e bene. Discostandosi saviamente da’ Fisiocratici, e n’ebbe lode da M. Gioja, definiva la ricchezza «l’abbondanza delle cose necessarie non solo ma comode ed aggradevoli»3, la traeva tutta dalla fatica degli individui, e volea che il lavoro si suddividesse, perché fosse più facile e produttivo, né si aumentasse la popolazione se non in proporzione de’ mezzi di sussistenza. Buoni provvedimenti ad accrescere la ricchezza agricola reputò l’abolizione delle primogeniture e de’ fidecommissi, la preferenza data alla grande agricoltura, correggendo

  1. Del disordine e de’ rimedj delle monete nello Stato di Milano.
  2. «Le monete sono pezzi di metallo che misurano il valore nella stessa maniera che le libre e le oncie misurano il peso, il piede e il braccio l’estensione», Op. succ.
  3. Elementi di Economia politica Par. I. § 1.