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Errata reputo eziandio la dottrina della difesa. Difendere non è punire; la difesa precorre il delitto e mira a prevenirlo, la punizione lo segue: è lecito difendersi contro l’aggressore infante, ebbro, demente, non puossi punire se non un reo. Nè meno erronea è l’opinione che considera la giustizia come una semplice maniera di concepire degli uomini1. Voi allontanate un cittadino dall’amichevole consorzio de’ suoi, lo gettate fra i ceppi per un vostro modo di vedere? L’accusato non potrebbe, a buon diritto, rivolto al giudice, chiedergli: provatemi che la società vede conforme al vero, e poi punitemi? Ad un magistrato che, seguendo una tale dottrina, sottoscrivesse una condanna, dovrebbe tremare la penna fra le dita: egli non avrebbe più diritto di chiamarsi onesto innanzi alla propria coscienza.

Neppur mi convince che al calunniatore spetti la pena che toccherebbe all’innocente accusato2; la calunnia può avere per obbietto delitti di sangue, congiure contro la sicurezza dello Stato ed altri misfatti assai più gravi di quello che il reato di calunnia non sia; la è questa una applicazione della rude ed irrazionale pena del taglione. Non lieve cruccio poi mi reca lo scorgere come, mentre pur distingue delitto da peccato, e deplora i roghi eretti dal fanatismo religioso, in nome del bene dello Stato, pel quale stima necessaria una perfetta uniformità delle opinioni, in-

  1. Op. succ. § II. nota.
  2. Op. succ. § IX