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niuno a que’ tempi uguagliava la fama, non isdegnava adergersi all’ali del giovine italiano, l’opera del quale reputava valesse in morale quanto in medicina quei pochi rimedi che sanno lenire i nostri mali1. Invitarono Cesare nostro a recarsi a Parigi ed egli a malincuore aderiva, sebbene poi fra quelli spigliati parlatori, fra que’ lieti novellieri, fra que’ scettici dagli arguti sali e dalle invereconde celie non si trovasse ad agio e si rimanesse taciturno e crucciato fino a che, richiamato da familiari affetti, sollecitamente rediva in patria. Il suo libro intanto diffondevasi per l’Europa, l’edizioni italiane moltiplicavansi e del pari le versioni in ogni lingua. Il duca di Würtemberg ne scrivea lodi a Cesare nostro, Catterina di Russia gli faceva invito, perchè pigliasse stanza nel suo impero, ma il governo austriaco saggio e mite allora in Lombardia, quanto a’ nostri di si dimostrò stolto e crudele, reputando non gli tornasse in onore «il vedersi prevenuto dagli esteri nella stima dovuta agli ingegni»2, lo elesse a professare Economia pubblica nella scuola Palatina di Milano.

Fra tanti incoraggiamenti e tante lodi non fecero difetto per altra parte le censure, le accuse, le condanne. La repubblica di Venezia, credendo scorgere alcuna allusione ai terribile Consiglio, proibiva il libro

  1. Commentario di Voltaire al libro dei Delitti e delle Pene § I.
  2. Vita di Beccaria del Barone Custodi. 1804.