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se taluno, a’ suoi giorni, l’ebbe superato per potenza d’ingegno, niuno certo gli andò innanzi o lo vinse di intrepidezza e magnanimità. Oh te benedetto, Cesare! Noi ti amiamo quanto tu amasti gli infelici, noi ti amiamo per quell’amore che ti mosse a recare sollievo a questa misera umanità, ahi! troppo lontana ancora dal compimento glorioso de’ suoi destini!


A libro di si inestimabile valore, se gli eventi umani procedono, tal fiata almeno, secondo ragione, dovea sorridere lieta fortuna, e questa infatti fu tanta e sì straordinaria che vinse l’aspettazione del giovine autore, il quale lo avea steso in men di un anno, e degli intimi suoi che, circondandolo e facendogli violenza, aveano vinta certa ritrosia procedente, siccome egli confessa, da una cotal naturale pigrizia1. Miei diletti giovani quanto non valgono gli ottimi amici!

Aveano essi mandato il volume a stampa, quasi di soppiatto, in Toscana e già per tutta Italia risuonavano gli applausi, quando a Milano appena se ne avea contezza. Varcato di breve le Alpi, passò alle mani degli Enciclopedisti, e vi ebbe le più liete ed amichevoli accoglienze. Lo traduceva il Morellet2, D’Alembert ne lovava a cielo la filosofia, la verità, la logica, la precisione, il sentimento, l’umanità3; Voltaire, di cui

  1. Cantù, Op. succ. Lettera di Beccaria a Verri 13 dic 1764.
  2. Trad. cit.
  3. Cantù, op. succ. Lettera dì d’Alembert e Paolo Frisi.