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indiscutibile del sapere, e Beccaria scrive il libro suo nell’intento di metter in luogo dell’autorità di antiche leggi e consuetudini l’osservazione e l’esperienza de’ fatti umani: rifiuta l’indiscussa fede nel passato, vuole, come la nuova scienza avvisava, che ci affidiamo alla ragione. Per tal motivo non accetta accuse segrete, ed invoca la pubblicità de’ giudizi: così il potere stesso del giudice trova nella ragione comune chi lo infrena. Ma appare anco più evidente il legame fra il pensiero di Beccaria e la riforma del metodo, quando egli si fa a bramare che intervenga il popolo a giudicare dei delitti. Il giurì, non lo neghiamo, appartiene ai tempi antichi, e lo troviamo in Egitto, fra gli Ebrei, in Atene ed in Roma; tuttavia egli si appella costantemente all’analisi, siccome quello che non fonda il suo giudizio su alcun presupposto, ma lo trae per intiero dalla coscienza illuminata per mezzo di accuratissimo esame. Lo vediamo pertanto cessare quasi dappertutto mano mano che prevalgono le scuole ed i metodi deduttivi; chiamati dalla scienza una seconda volta all’analisi, siccome già prima dalla natura, domanda Beccaria an-
ottimo periodico che ebbe nome da Cesare Beccaria. Ho letto in esso (anno I. N. 3 e 4) come il diligentissimo prof. Amati abbia avuto notizia di un manoscritto del nostro A. intorno a Bacone. Egli inoltre si assunse il paziente officio di mettere fra loro a riscontro in bel numero gli aforismi del filosofo inglese coi principî e colle dottrine del nostro concittadino, dimostrando in ottima guisa come il pensiero dell’uno regga ed informi quello dell’altro.