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esecutore del volere sociale, incute ribrezzo ed orrore. Pena più esemplare, più terribile, e ad un tempo più conforme alla ragione è il carcere perpetuo.

Procede poscia a parlare dei delitti, li annovera nelle principali specie, e di tutte tocca a lievi tinte con maestrevoli pennellature: ne indaga la malizia, ne suggerisce proporzionata la pena. Inonesta cosa è l’infliggere tormenti a chi peccò per errore, ingiusto il punire di colpe che non offendono la società; difficile e pericolosa riesce la prova di alcuni reati, per altri non abbiamo diritto a condannare finché non saranno tolte le cause onde s’ingenerano.

Risale qui alle prime ragioni della criminale giurisprudenza; deplora che taluni distinguano il bene pubblico dal vantaggio de’ privati; la famiglia ha in non cale, perché le virtù vi son mediocri e si oppongono all’esercizio delle pubbliche; il fisco fa sì che «il giudice diviene nemico del reo, di un uomo incatenato, dato in preda allo squallore, ai tormenti, all’avvenire il più terribile; non cerca la verità del fatto, ma cerca nel prigioniero il delitto e lo insidia, e crede di perdere se non vi riesce, e di far torto a quella infallibilità che l’uomo si arroga in tutte le cose1». Volge infine alla ricerca dei mezzi onde si previene il reato: libertà, amor del vero, leggi chiare e semplici, integrità dei magistrati, i quali debbono essere in buon numero, diritto a querelarsi d’ogni ingiustizia, ricompense pubbliche alla virtù, perfezionamento della pub-

  1. Op. succ. § XL.