giva con lodi il sentimento religioso che raccoglieva alcuni buoni in società a fine di confortare nel silenzio i miseri condannati e di raddolcirne, per quanto era in loro, le pene, avea taciuto pur troppo degli infami metodi processuali, e seguiva ne’ suoi giudizi l’andazzo de’ tempi. I magistrati vi aveano fatto il callo, e stoltamente avvisavano che tutto procedesse conforme alla giustizia, il popolo applaudiva, taceva, soffriva. Beccaria sorse nel nome della scienza: lamentò che si gettassero in una stessa caverna gli accusati ed i convinti, ripose le credibilità de’ testimonj nell’interesse che essi hanno di dire o di non dire il vero, stimò infame l’assioma, allora accettato, che pei più atroci delitti bastassero le più lievi congetture, invocò la prescrizione pei reati minori; chiese che il giudice appartenesse alla stessa classe sociale dell’accusato, perché disuguaglianza non recasse ingiustizia. Nè stette pago; ma, perché l’opinione ponesse un freno alla forza ed alle passioni, domandò la pubblicità de’ giudizi, e condannò le accuse segrete. Inoltre volle pronte le pene, quanto lo potesse consentire la necessità della procedura, vide come il giuramento dei rei contro sè stessi nuocesse alla religione, unico pegno di onestà nella maggior parte degli uomini, reputò più sicura l’ignoranza che giudica per sentimento che non la scienza che sentenzia per opinioni, onde riuscì a desiderare l’istituzione del giurì. Coll’eloquente linguaggio della verità e dell’evidenza proteste contro la tortura. Può egli forse, si chiede,