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vincimento che la riforma delle scienze si dovea volgere a beneficio de’ popoli, e per questo non si dipartì mai dal proposito di sollevare da’ mali chi più ne soffriva, e di aumentare a chi ne godea meno la copia de’ beni. Vivea egli in caro consorzio di eletti amici coi fratelli Verri, con Frisi, con Lambertenghi, coi più belli ingegni della nostra Milano, ed era in quegli amichevoli colloqui uno studio continuo di ciò che gli interessi dell’umanità e il ben essere pubblico e privato riguardasse. Con questo intento aveano impreso a pubblicare un giornaletto il quale vide la luce in questa nostra Brescia, e si chiamò Il Caffè. Con lodevole ardimento si professarono in esso nuovi ed utili verità, e si mosse guerra ad ogni più funesto pregiudizio.
In questa accolla di amici ragionava il Beccaria delle norme criminali, e Alessandro Verri, protettore in quel iorno di tempo e visitatore dei carcerati, riferiva loro collo sdegno più vivo dell’animo quanto strazio si facesse de’ miseri su cui posava un’accusa od una condanna. Il giovine Beccaria si raccolse allora in sè medesimo, e determinò di venire pietoso in soccorso all’umanità. In qual modo? La triste esperienza del passato consigliavalo a mutare cammino, la scienza nuova gli tracciava le orme che egli dovea seguire. Invoca pertanto, già al principiare del suo libro, la cognizione delle cause e de’ fini e lo studio degli umani sentimenti. Sembragli che la società, in cui risiede il potere legislativo e che ha per obbietto di promuovere la massima felicità de’ cittadini divisa