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appena avvenne verso la metà del secolo XVIII che si manifestasse nella civile Europa un’ansia prima di nuovo bene, un disgusto de’ reggimenti passati, una vaga ed inconsapevole aspirazione ad un avvenire migliore. In Francia, dove i mali erano per avventura maggiori o la miseria pubblica aumentava a dismisura, più incalzava la necessità de’ rimedi. La scuola degli Enciclopedisti corrotta e corruttrice, in una società d’ogni corruzione maestra, pur conscia de’ mali presenti e presaga de’ venturi, venia rompendo le dighe che faceano riparo all’alte classi sociali, al trono ed all’altare, sicchè libera si rovesciasse un’impetuosa fiumana di violentissimo rivolgimento. In Italia all’incontro la benevolenza dei Principi sopperiva al bisogno: le riforme, mitemente chieste, erano con senno e misura concesse. Qui provvedeasi con savie leggi al commercio, là abolivansi le immunità ecclesiastiche: qui sopprimevansi i pascoli pubblici, tanto all’agricoltura infesti, là si promulgavano migliori leggi civili o si alleggeriva il carico de’ pubblici balzelli: dappertutto fondavansi scuole, si istituivano cattedre: era, a dir breve, un tranquillo, operoso, incessante agitarsi per volgere alla pratica i più profittevoli pensamenti rivelati dalle rinnovate scienze.

Ma così salutare spinto di riforma non toccava alle leggi criminali, e niuna cosa era più triste e crudele di quella che, quasi a scherno, pur chi amava si giustizia. «Alcuni avansi di legge di un antico popolo conquistatore, così Beccaria nostro, fatte compilare da un