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Le poche migliaia di lire che restavano ad Ubaldo furono inghiottite in breve tempo dalle spese quotidiane, dai processi per diffamazione, da tutto quel patrimonio di passività che il vecchio direttore aveva lasciato come sola eredità al nuovo.

Ubaldo, non sapendo come rimediare, si dette a giocare alla Borsa; ebbe da principio la disgrazia di vincere, giocò allora con più ardore, perdè, perdè sempre, perdè tanto che a una liquidazione a fine mese non potè pagare le differenze e fu affisso alla Borsa. Senza credito, senza mezzi, senza il giornale, non sapendo a qual partito appigliarsi, fece le valigie e andò in Svizzera lasciando a Milano la moglie e il bambino, che eragli nato da poco più di un anno.

La dolce creatura, che aveva sopportato così serenamente la miseria nella casa paterna, non ebbe una parola di rimprovero nè un pensiero di biasimo per il marito che l’abbandonava. Lasciò che i creditori prendessero tutto ciò che vi era in casa, e si ridusse a vivere in una modesta cameruccia, benedicendo l’uomo che per cinque anni le aveva procurato una esistenza comoda e avevale fatto conoscere i piaceri della vita.

Prima di dar fondo alle poche centinaia di