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Alle sette, all’ora del pranzo, il principe fu avvertito che la minestra era in tavola, ma egli aspettava ancora il resultato definitivo dello spoglio, e non pensava neppure a uscire dalla redazione della Stampa, dove l’Ubaldo gli dava speranza, dove continuavano affluire i suoi elettori per portargli le notizie. Verso le otto la duchessa impaziente era scesa dal figlio, e quando Fabio entrò di corsa nella stanza con le braccia alzate e gridando: "abbiamo vinto!" la duchessa prese la testa di don Pio fra le mani e la baciò con effusione, quindi stese la destra ad Ubaldo e la sinistra a Fabio, dicendo loro:
— Se mio figlio è deputato, lo devo a voi due!
Il principe si contentò di sorridere; quella confessione non voleva farla; l’orgoglio di razza si manifestava in lui potente appena gli arrideva il successo, anche se sentiva che quel successo non era opera sua.
— Perchè non andiamo a pranzo? — diss’egli alla madre. — È tardi, e Rosati e Ubaldo debbono aver fame quanto me. Via, signori, salite!
— Grazie, — rispose umilmente Ubaldo. — Mia moglie è giunta ieri da Milano e non sarebbe contenta se io mancassi oggi subito a desinare.