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della presenza di lei, come non si curava dei servitori, che giravano le pietanze e cambiavano piatti e posate.

Quella grande sala con le pareti coperte d’arazzi e i mobili del tempo dell’Impero, dalle forme rigide e dalle dorature sbiadite, era tristissima e fredda.

Pareva che la primavera non potesse farvi penetrare i suoi effluvi profumati, che il sole non osasse spingervi i suoi raggi.

La principessa Camilla mangiava poco e lentamente. Ella non prendeva parte alla conversazione, e soltanto quando udì parlare dell’acquisto del giornale, posò la forchetta e domandò con la voce che diveniva molto nasale quando ella voleva criticare:

— Che cosa te ne farai, Pio, del giornale? Pensi forse a scriverlo da te?

— Se sapessi, sarei ben lieto di prender la penna, ma non so, — rispose il principe in tono allegro.

— Non ti vergogneresti di farti giornalista?

— No, anzi sarei fiero di saper fare qualcosa, mentre così devo sempre ricorrere ad altri, ed è cosa che mi umilia.

— Come sei cambiato, Pio! — esclamò donna Camilla.

— Cammino con i tempi, che vuoi? Se mi