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Capiva che ormai bisognava contare con quell’uomo se voleva che il principe fosse eletto, se voleva che acquistasse il giornale, se aveva a cuore davvero l’esito di quella impresa.

Fabio lo salutò dunque cordialmente, e gli stese la mano.

— Che noia! — disse il Caruso, dopo avergli reso il saluto con il suo fare stanco e spingendo in avanti il labbro inferiore e socchiudendo gli occhi. — Il principe iersera mi ha subito scritto, vuoi vedermi ad ogni costo. Questi gran signori non hanno un soldo di sale in zucca, e si danno sempre il lusso di pensare col cervello degli altri.

Fabio si sentì offeso dalla mancanza di rispetto per tutta una classe, che era assuefatto a venerare, e per don Pio specialmente, ma non rispose altro che con un sorriso, e disse:

— Credo infatti che tu sia aspettato da un pezzo.

— Lo so, ma io non mi scomodo per nessuno e prima delle dieci in camera mia non fa giorno. Addio, Rosati, — e passò davanti al portinaio strascicando il passo, e soltanto sul primo gradino dell’imponente scalone gettò via il sigaro d’Avana, che aveva in bocca.