Questa pagina è stata trascritta e formattata, ma deve essere riletta. |
— 55 — |
Capiva che ormai bisognava contare con quell’uomo se voleva che il principe fosse eletto, se voleva che acquistasse il giornale, se aveva a cuore davvero l’esito di quella impresa.
Fabio lo salutò dunque cordialmente, e gli stese la mano.
— Che noia! — disse il Caruso, dopo avergli reso il saluto con il suo fare stanco e spingendo in avanti il labbro inferiore e socchiudendo gli occhi. — Il principe iersera mi ha subito scritto, vuoi vedermi ad ogni costo. Questi gran signori non hanno un soldo di sale in zucca, e si danno sempre il lusso di pensare col cervello degli altri.
Fabio si sentì offeso dalla mancanza di rispetto per tutta una classe, che era assuefatto a venerare, e per don Pio specialmente, ma non rispose altro che con un sorriso, e disse:
— Credo infatti che tu sia aspettato da un pezzo.
— Lo so, ma io non mi scomodo per nessuno e prima delle dieci in camera mia non fa giorno. Addio, Rosati, — e passò davanti al portinaio strascicando il passo, e soltanto sul primo gradino dell’imponente scalone gettò via il sigaro d’Avana, che aveva in bocca.