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gedò. In quel momento acquistò la certezza che don Pio attendeva Caruso. Egli percorreva a testa bassa la galleria, quando un servitore si staccò da un sedile addossato al muro e fattosi avanti gli disse che la duchessa madre desiderava parlargli.

Fabio si scusò, rispose che non era in abito da visita, che sarebbe andato più tardi, ma il domestico rispose che la signora duchessa voleva parlargli subito, e non potendo resistere a quelle vive preghiere, egli salì le scale che conducevano al secondo piano, pensando sempre con sconforto alla delusione provata.

La duchessa era già vestita, col cappello in testa e il libro da messa in mano, pronta per uscire. Ella, che sapeva sempre quello che voleva, e andava diritta allo scopo, stese affabilmente la mano a Fabio e senza tanti preamboli gli disse, dopo averlo fatto sedere accanto a sè:

— Io voglio che mio figlio sia eletto; che cosa bisogna fare?

Fabio riflettè un momento, ma spronato da quel fare risoluto, vinse la naturale pigrizia del pensiero, e rispose lealmente:

— Oramai il principe si è impegnato troppo formalmente per la stazione in Trastevere,