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cia, riempiva l’aria, e don Pio incominciava a sentirsi a disagio in quel luogo ed era stanco e nauseato. Per questo, fatto un cenno al Rosati, si alzò e, accompagnato dal sor Domenico, dalla sora Lalla e dall’onor.

Serminelli, dal Caruso e dal Massa, traversò la sala dove echeggiarono della grida stanche e rauche di “Evviva il nostro candidato„ e accommiatatosi da tutti salì in phaéton, prese le briglie di mano al cocchiere e, invitato il Rosati a sedersi accanto a lui, toccò con la punta della frusta i cavalli, che partirono al trotto.

Durante il breve tragitto, Fabio fu più volte sul punto di dire al principe quanto lo affliggeva di vederlo nelle mani di un volgare imbroglione, di narrargli che Caruso aveva servito un po’ tutti i partiti con la penna, una penna che non sapeva intingere altro che nella bile, e che ora non avendo più nessuno si attaccava a lui come alla tavola di salvezza. Voleva narrargli che era diffamato come uomo per avere abbandonato a Milano la moglie e un figlio senza pane; che era diffamato come giuocatore, per essere stato scoperto con le carte segnate in mano, era diffamato come giornalista per non essersi mai addimostrato fedele a nessuno, servendo meglio chi meglio