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Apostoli, severe, grandiose, più scolpite che dipinte dal pennello michelangiolesco: sulla parete di fondo il tetro Giudizio universale, una protesta dell’austero fiorentino contro il fasto, i vizii, le corruzioni dei grandi, e più basso questi grandi in carne e ossa, noncuranti di quella condanna.

Sulle pareti laterali invece tanti affreschi del Perugino e dei maestri toscani del suo tempo, ispirati a una fede meno ragionata e meno filosofica di quella del Buonarroti, ma più ingenua, più illimitata e per questo più efficace.

In faccia alla parete del Giudizio si ergevano le tribune delle signore, affollate da una turba elegante e ciarliera, che portava in quel luogo sacro gli strascichi dei pettegolezzi della città e il profumo di gardenia e di violetta. Sotto alla prima tribuna di sinistra un piccolo palco, sul quale il gran maestro dell’ordine di Malta col petto fregiato della croce e lo spadone appoggiato al muro, stava ritto, impettito mostrando a tutti la sua alta figura bonaria e pareva pago del suo dominio di un giorno. Accanto a quel palco, in una tribuna più bassa, i rappresentanti delle grandi e delle piccole potenze, dal generale in uniforme rossa inviato dalla regina d’In-