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— Sai amare però, — diss’ella accennando al ritratto, ora debolmente illuminato dalla luce, che penetrava dalla finestra.

— Neppure. Se sapessi amare, imporrei il mio amore e tu non avresti trovato qui un ritratto. Non so odiare, non so amare, non so volere! — disse il principe lasciando ricadere con una mossa di scoraggiamento la testa sui guanciali, e chiudendo gli occhi per non vedere la sua tormentatrice.

La principessa rimase un momento a guardarlo e poi uscì per andare nella camera in cui si era fatta preparare il bagno, nella piccola tinozza di guttaperca, che viaggiava sempre insieme con lei, e dopo essersi tuffata nell’acqua e vestita in fretta, prese la rozza coperta per i poveri e si mise di guardia nel salotto di don Pio, come faceva a Roma.

Don Pio sentiva il tic-tac rabbioso dei ferri, che gli martellava insistentemente nel cervello e non aveva neppure la forza di dire alla moglie che cessasse. Era ritornato nell’abbattimento, nell’inerzia, non voleva più nulla, non pensava più a nulla altro che al suo dolore.

Il viaggio a Rovigno, la consolazione che ne sperava, tutto era svanito dalla sua mente; era stato un dolce sogno che si confondeva