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Di questo invito non avevano bisogno alle due tavole laterali, poste lungo le pareti. Una di quelle era presieduta da Scortichino, l’oste di San Francesco a Ripa, che mangiava per tre dando il buon esempio a tutti, e mesceva a destra e a sinistra da bere asciugandosi la fronte col tovagliolo; e l’altra dal Simonetti, l’orzarolo di Borgo, che faceva sparire nello stomaco, a forma d’otre, i vassoi delle fettuccine. Quasi nessuno parlava in quel primo quarto d’ora, ma quando dopo le fettuccine ebbero mangiato il fritto e comparvero i tradizionali carciofi alla giudìa, quando i camerieri ebbero incominciato a portar via le bottiglie e sostituirle con altre piene, allora, negli intervalli della musica, incominciò un vocìo assordante, incominciarono le grasse risate echeggianti sulla terrazza attigua coperta dal pergolato, e dove si era riunita tutta la gente di minor conto, tutta la plebe.
Il principe parlava poco e ascoltava il sor Domenico e l’on. Serminelli, tutti e due pratici di elezioni, che gli davano dei consigli. Caruso non potendo stare accanto al principe si era messo alle costole a Fabio Rosati e sottovoce ripetevagli che se il principe sapeva svolgere l’idea suggeritagli da lui, era deputato del certo.