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Giorgio, che andava ogni mattina a prender le lettere, allora soltanto si coricò per non far capire alla sua cameriera che aveva passata la notte vegliando.

Ma quella lunga notte invernale rimase impressa nella monte di donna Camilla come la notte più angosciosa, più tremenda della sua vita.

Ella non credeva di poter tanto soffrire; non supponeva neppure che l’affetto disprezzato, la gelosia, il sentimento della inferiorità dinanzi a una rivale, cui la sua mala azione prestava l’attrattiva della vittima e la circondava con l’aureola del martirio, fossero capaci di sottoporre il suo cuore freddo a tanti strazi. E in quel tumulto di passioni le tempie non le martellavano, il cuore non affrettava i suoi palpiti; ella sentivasi invece la testa cinta da un cerchio gelato e il cuore, facendosi immobile, le impediva di respirare. Anche coricata parevale di sprofondare, di essere inghiottita dalla lettiera e allora alzava le mani scarne, afferravasi alle colonne tornite del letto o alle cortine di broccato, e apriva la bocca per gridare, ma nessun suono le usciva dalla gola serrata.

Ingiusta, come tutte le donne gelose, ella non accusava il marito, accusava Maria, e col cuore invocava sul capo di lei tutte le