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incresciosa vigilanza, capì che la principessa non avrebbe lasciato quella camera neppure se egli le avesse detto in faccia apertamente: — Vattene!

E si rassegnò sperando che la notte almeno sarebbe stato solo, che la notte avrebbe potuto mettere in carta tutte le idee che gli si affollavano alla mente, scrivere tutte le frasi umili, di pentimento e di adorazione, che in quel momento gli venivano dal cuore alle labbra.

Pazientò prima di pranzo, pazientò durante il pranzo mentre Giorgio assistito da un altro cameriere lo serviva, pazientò dopo, quando la duchessa, donna Camilla e l’Onorati andarono a prendere il caffè intorno al caminetto della sua camera.

In quei giorni l’Onorati, scartabellando le carte d’archivio, aveva scoperto la corrispondenza fra una improvvisatrice napoletana del 1700, nota in Arcadia sotto il nome di Fille Arimantea, con un principe della Marsiliana. Il bibliofilo, leggendo le lettere, quasi tutte in versi, della poetessa e le risposte del principe, aveva ricostruito il ritratto di lei, così al fisico come al morale e giurava e spergiurava che quella donna, nonostante fosse conscia del grande affetto che aveva