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del disastro della “Fenice„, nè dei feriti, e i giornali cessarono dal darne le notizie.

Ma intanto che il principe si rendeva invisibile agli occhi di tutti, intanto che nessuno dei suoi ingegneri, dei suoi accollatari temeva di vederlo giungere da un momento all’altro alla Marsiliana per visitare a che punto erano i lavori di un canale emissario, che egli faceva scavare attraverso i suoi possessi e che doveva portare al mare le acque che rendevano l’aria mefitica stagnando, e che nessuno temeva di vederlo comparire su quella vasta distesa di terreno che aveva acquistato a Porta Portese, si commettevano, a danno suo, le truffe più ardite e più sfrontate. Alla Marsiliana si facevano lavorare gli operai mezza giornata soltanto, a Porta Portese appena un’ora la mattina e un’ora la sera. I muratori andavano all’appello, poi dagli accollatari, dagli ingegneri stessi erano mandati a lavorare in altri punti della città, a far progredire altre fabbriche che essi dirigevano, mentre quelle di don Pio si alzavano lentamente dal suolo, e don Pio pagava, e don Pio si dissanguava per supplire a quelle immani spese. E così era per tutto: i suoi eccellenti foraggi, i suoi grani, i suoi vini, i suoi latticini si vendevano, al dire degli intendenti, a un prezzo