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occorso un ingegnere venuto da Berlino, e spese, spese da non dirsi.

Mancava ancora molto, prima che tutto fosse terminato, ma il principe disse che quella sera stessa voleva si facesse la prova della luce elettrica, e per appagare quel capriccio di lui si raddoppiarono gli operai, si raddoppiarono le forze, e gli fu formalmente promesso che alle dieci avrebbe veduto il teatro illuminato.

Il principe dette ancora degli ordini, girò per i palchi, dove i tappezzieri lavoravano ancora, e si fece consegnare la chiave della barcaccia destinata alla Stampa e che aveva a fianco il salottino per Maria. Quel salottino aveva una finestra sulla strada e anche di giorno era un modello di eleganza.

Piccolo, col soffitto a stucco lievemente filettato d’oro e di azzurro, aveva le pareti ricoperte di una stoffa celeste a piccoli fiori di un bianco perlaceo. Sul pavimento di marmo era gettato un grande tappeto persiano di una tinta mite, e gli angoli erano occupati da quattro cantoniere a cristalli di legno verniciato di bianco, oro e azzurro, che insieme con il canapè, le sedie, la consolle, le porte guarnite di cristalli e le appliques dovevano aver servito ad addobbare il salotto di una