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redattori e una ventina di corrispondenti stipendiati; poi c’era la parte letteraria che si pagava salata, poi gli avvenimenti straordinari che chiamavano da un capo all’altro d’Italia e talvolta d’Europa il Rosati, il quale sapeva farsi rimunerare, c’erano i regali agli abbonati che costavano più del prezzo complessivo annuo del giornale e così gli associati lo avevano per niente; c’erano i romanzi d’appendice, c’era tutta una rete di calcoli sbagliati a bella posta e che empivano le tasche di tutti, mentre vuotavano quelle del proprietario, che non sapeva neppur trarre dal giornale quel partito che avrebbe potuto.

In tutte le grandi operazioni finanziarie che si compirono nel primo anno che ebbe vita La Stampa don Pio non ebbe alcuna parte; era troppo gran signore per andare nelle anticamere dei ministri e nei gabinetti dei capi di grandi stabilimenti di credito a far valere l’appoggio del suo giornale o mercanteggiare almeno il silenzio di esso. Ubaldo invece, del quale era stato dimenticato il passato con quella facilità con che a Roma si dimentica tutto, aveva saputo guadagnare in molti affari e ora non era più l’uomo che non possiede nulla, che non sa come vivrà domani. Egli aveva titoli di rendita e calcolando abil-