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pio di attività, come l’ideale dei principi secondo le idee moderne; nel patriziato lo consideravano invece come un reprobo, un pazzo, e erano convinti che un giorno o l’altro si sarebbe pentito di aver derogato alle tradizioni della sua casta.

Ma La Stampa andava a vele gonfie, aumentava diffusione e tiratura tutti i giorni; ma anche costava sempre più denari a don Pio, il quale cullato dalle promesse di Ubaldo, dai discorsi dell’onorevole Carrani e più di tutto dal grande fatto di aver riunito all’ombra del labaro del giornale tutte le forze del partito progressista, sognava già di essere un giorno ambasciatore a Berlino o a Parigi, o anche ministro degli esteri, e per questo pagava senza contare. Il giornale, amministrato bene, sarebbe stato una fonte di guadagno, ma amministrato con i criterî e con le tradizioni delle case principesche romane, era invece un pozzo senza fondo che inghiottiva nella sua immensa bocca capitali su capitali. Un amministratore generale, tre sotto-amministratori della tipografia, della pubblicità e del giornale, prendevano laute paghe e avevano ai loro ordini uno stuolo d’impiegati. La redazione pure costava un occhio. Ubaldo non aveva meno di dodici