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in quella battaglia continua in cui l’on. Carrani e Ubaldo si sostenevano, il primo trattando le quistioni di politica interna, e soprattutto le quistioni di economia nelle quali era competentissimo; il secondo attaccando la politica incerta del Governo rispetto all’estero, e le quistioni municipali. Il principe discuteva, approvava, era soddisfatto della influenza che gli dava il suo giornale, e pagava, soprattutto pagava. L’edifizio per la redazione della Stampa gli era costato ottocentomila lire, e il giornale in sette mesi ne aveva ingoiato altre trecentomila, ma ora aveva una tipografia bellissima, quattro macchine rotative, aveva abbonati, lettori e credito in tutte le parti d’Italia.
Le notizie che a caro prezzo La Stampa si procurava nei Ministeri, qualche volta avevano l’onore di una smentita ufficiale, o di una rettifica e allora don Pio gongolava, e il signor Caruso più di lui.
Egli voleva che il giornale incutesse timore ai governanti, voleva che non movessero foglia senza pensare alla censura accanita della Stampa, e a questo in parte era riuscito. Come era riuscito a farsi, che un’antica lite fra il Municipio e la famiglia Urbani per la sistemazione di una