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far sentir la distanza che correva fra lui e i plebei, e Fabio Rosati, che aveva capito quella debolezza, si era affrettato a trattarlo d’“Eccellenza„ e i nuovi redattori venuti da altri giornali avevano fatto altrettanto. Soltanto Ubaldo aveva continuato a chiamarlo “Principe„, e non perchè gli costasse fatica a pronunziare quella parola di cui si abusa nel mezzogiorno d’Italia, ma perchè gli pareva a sua volta di stabilire una distanza fra sè e gli altri redattori della Stampa, trattando il principe della Marsiliana con maggior familiarità.
In quei sette mesi Ubaldo aveva scossa la naturale inerzia, e si era dato ad applicare il programma di don Pio, e nell’applicazione di quel programma aveva dato prova di una grande pertinacia. La Stampa non era giunta a tirare centomila copie, ma già da tre era salita a quarantamila, cifra altissima rispetto agli altri giornali della capitale. Nei teatri, nei caffè La Stampa era nelle mani di tutti, e il pubblico si interessava alle polemiche violente che vi si facevano anche per le quistioni più insignificanti. Messi sulla via dell’opposizione a oltranza, tutti i redattori pareva che avessero acquistato nuova energia