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coglieva col suo fare schietto e disinvolto le signore che le venivano presentate, e sapeva farsi ammirare da loro, come si faceva ammirare dagli uomini. Ella indossava un vestito di merletto nero, non aveva altro che due perle agli orecchi, e in testa un grande cappello Rembrandt, dalla tesa spiovente, coperto di lunghe penne di struzzo. Con una mossa di persona freddolosa, che le dava tanta grazia, ella si riportava ogni tanto sulle spalle la pelliccia di velluto amaranto guarnita di martora, e quella mossa la faceva somigliare a una donna impaurita, che cercasse rifugio in qualcuno, in qualcosa.

In fondo all’ampia sala, la cui pareti erano rivestito di scaffali, dove don Pio aveva fatto collocare la biblioteca di casa Urbani, era preparato un pianoforte a coda per gli artisti dell’Apollo e del Costanzi, che dovevano cantare dopo il ballo. Don Pio, dritto in un angolo, parlava con due principi, onorevoli come lui, e con altri tre o quattro deputati meridionali appartenenti al patriziato. Appena il principe era in mezzo a giornalisti, voleva far loro capire che non li considerava suoi pari, e se poteva circondavasi di antichi conoscenti.

Anche quando era negli uffici di redazione, gli piaceva di far da principe, di