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della vacca,» nel navigare dunque il Bosforo viene fatto di pensare a tutto ciò che di memorabile abbiamo letto o inteso sul quel mare. Si vede lo scoglio di Giasone, la tomba di Ercole, il luogo dove Goffredo di Buglione contò i suoi crociati prima di passare in Asia alla conquista della Terrasanta; il punto da cui passò Dario, re di Persia, figlio di Istaspe, con la sua grande armata, per impossessarsi della Grecia. Le ridenti sponde sono ornate di bei palazzi, di ville, di giardini, di rovine, di chioschi e di vigneti: sul fondo si vedono foreste di pini, e l’acqua è solcata da un numero grandissimo di caicchi, che sono piccoli battelli. Nel passare vicino a uno di essi si vedono, seduti nel fondo della barca, diversi bambini turchi che attendono in ozio il loro lala (servo negro) il quale pesca con la lenza.

Ecco, siamo in vista delle sette colline su cui Costantinopoli è costruita, al pari di Roma; si distingue la immensa mezzaluna dorata del duomo di Santa Sofia, si vedono centinaia di minareti che s’inalzano snelli nell’azzurro del cielo; le cupole delle moschee scintillano ai raggi del sole, e gruppi di scuri cipressi s’ergono qua e là solenni. Vediamo dinanzi a noi la città in tutta la sua bellezza, ed entriamo nel golfo del Corno d’oro, che somiglia a una foresta di alberi di bastimenti.

Dopo pochi istanti siamo nella capitale dei turchi, la quale, al pari di molte altre città, è più bella veduta a distanza. Anzi, a vederla da vicino, si prova una forte delusione. Le strade sono strette, le finestre serrate, orde di cani grossi, famelici, simili a lupi, ingombrano la via e non si movono neppure a bastonarli.

Tutto il popolo ozia nelle strade; i sakka (portatori d’acqua) e i hamal (portinai) sono i soli occupati; ma sul loro volto, come su quello di quante persone s’incontrano,