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flettendo poi che quando compivasi questo palazzo il famoso Vicentino era ancor giovinetto, si deve riconoscere come falso questo giudizio adottato anche dal P. Bonelli. Si nota pure che in quanto allo stile si avvicina piuttosto alla scuola del Sammicheli. Considerando poi che Giovanni Maria Falconetto, proscritto da Verona, visse esule in Trento parecchi anni appunto nell’epoca in cui governava Bernardo Clesio, e che lo stile dell’edificio ricorda le fabbriche architettate del Falconetto in Padova e fuori, delle quali parlano il Vasari ed il Temenza, ci sentiamo inclinati a convenire nell’opinione del conte Benedetto Giovanelli che Falconetto sia stato l’artefice di questo bell’edificio.
Importa osservare la bella proporzione della cornice che corona il palazzo ed il cortile dove ammirasi tuttavia un portico fregiato di bellissimi dipinti del Romanino da Brescia, con medaglioni a rilievo ne’ peducci degli archi, e con altri ornamenti convenientissimi. Di molto decoro appaiono le porte principali che introducono nel recinto del palazzo posto nel lato volto verso la città. Se l’angusta porticella per cui si ascende nell’interno dell’abitazione, e la scala non corrispondono alla vastità dell’edificio è perchè fu eseguito solo in parte il concetto dell’autore. Il principale ingresso doveva aprirsi ov’è la porta di stile correttissimo distinta appunto col nome di porta del Vescovo. L’accorgimento dell’architetto si appalesa nelle belle proporzioni delle camere, de’ loggiati e delle sale, che nella varietà delle forme, nella diversa configurazione delle vôlte, e dei compartimenti dei lacunari che fanno bella mostra di sè. Non rimangono ora se non i ruderi della fontana de’ Leoni, così chiamata per la presenza delle due fiere scolpite in marmo in atteggiamenti di bere dalla vasca. Scomparve la bella Dafne di bronzo che versava l’acqua. Scomparvero i deliziosi