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si cangiò in tremenda visione. Que’ globi oscuri, quelle nubi travolte dalla bufera che incessanti valicavano il nero fiume erano turbe di anime; erano i morti per la Patria ch’ella vedeva passare all’altra vita. Una processione di venerandi vegliardi con le braccia incrociate sul petto:

— Noi — le dicevano — noi le viventi barricate di Palermo! Noi lo scudo dei combattenti per la libertà.... Oh, prega, prega per il nostro povero paese! —

— Noi i traditi a Curtatone.... Noi gli abbandonati sulla Piave....

— Noi i venduti a Milano!... — gridavano altre legioni. — Siamo morti contenti per l’Italia! Una speranza ci ha rallegrato gli spasimi dell’agonia.... Oh prega che il nostro sangue non sia sprecato! —

E sacerdoti avvinti di catene, sacerdoti col crocifisso nella destra, sacerdoti con la spada al fianco le dicevano:

— O giovinetta, siamo morti in difesa del nostro gregge; siamo morti a’ piedi dei profanati altari. Ma Dio è giusto! Prega che venga il suo regno! —

Poi fra una turba di guerrieri tutti coperti di sangue, ella vide una donna di maestoso aspetto, ma di straniera fisonomia. Aveva le chiome bruttate di fango, le vesti sbranate, scalzi e insanguinati i piedi gentili. Nel passarle dappresso le stese una mano bianca come neve, e portava in dito l’anello nuziale. Parve alla dormente di sentirsi incoraggiata da quel gesto amichevole e che le domandasse:

— O chi se’ tu che così dividi le lagrime e il sangue dei miei? Dove andate, o difensori della nostra causa? Qual destino è riserbato a questa povera Italia? —