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pianura già imbalsamata dai primi profumi primaverili, nè l’immensità e la purezza del cielo, e nemmeno il pensiero della gentile creaturina ch’ella era stata allora allora a visitare. Per quanto soave fosse la commozione che tutti questi oggetti le procuravano, v’era qualcosa di più profondo e di più sublime che la scuoteva come scintilla elettrica, mettendole nell’anima il sussulto della vita e negli occhi il fuoco e il brio della giovinezza: era il cannone di Venezia! Sì, il cannone di Venezia di cui udiva di tratto in tratto il forte rimbombo che si perdeva poi lontano negli echi dei monti. Il rimbombo del cannone, che tante volte l’aveva turbata e offesa nei miti sentimenti dell’anima sua, ora l’entusiasmava e la riempiva di gioia ineffabile. In quella sua volontaria solitudine, poco o nulla ella sapeva degli avvenimenti politici e guerreschi, ma il cannone l’avvertiva che Venezia viveva tuttora e che le sorti della sua patria non erano peranco decise. Invano le avevano insegnato a riguardar come un delitto la rivoluzione italiana! Ad onta di tutti i ragionamenti che le avevano fatti, ella sentiva nel suo cuore che là era raccolta tutta l’energia della sua nazione e pregava perchè potesse resistere e trionfare della prepotenza e delle tante armi che la circuivano. Era questione di vita o di morte; e da lontano era tutta l’anima sua che lottava anch’ella contro il nemico, e si sentiva fluire nel sangue quello stesso ardore che faceva prodi le scarse legioni che difendevano Marghera e la tanto contrastata Piazza del Ponte.

La stagione avanzava; i monti s’erano ormai vestiti di verde, infoltivano gli alberi, la terra si copriva di fiori, ed ella continuava ogni giorno ad uscire all’aperto, avida di quel cannoneggiamento, come di

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