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petto del suo giovane interlocutore le parve grondasse sangue.
Chiuse gli occhi inorridita e lasciò sfuggire un gemito. Tutti s’accòrsero che le veniva male, e la contessa s’affrettò a condurla sulla terrazza a respirar l’aria fresca della notte. Rimbombava il cannone di Palma e il cielo appariva acceso ad intervalli dalle bombe che da quattro lati venivano lanciate contro la fortezza. I loro scoppi facevano tremare la casa fin dalle fondamenta, e talmente offesero i nervi della fanciulla, che la contessa pensò bene di farla coricare.
IV.
I Ribelli.
— Lela! su, Lela, cammina! Come va che stasera tu non puoi tenerci dietro?
— La colpa è di Tinetto, mamma, che va come una lumaca.
— Ho perduto uno zoccolo io — piagnucolava zoppicando il piccino — e sento male al piede scalzo. Io non posso camminare così, io!
— Butta via anche l’altro zoccolo — gli diceva la sorella. — Tanto è tutto sciupato; e si va meglio scalzi. — Ma il fanciullo continuava a piagnucolare mentre si udiva un po’ distante il passo della madre e dell’altro bambino ch’ella si trascinava dietro.
— Mamma, Tinetto non ne può più: me lo devo prendere in braccio?
— Ma ti pare? Per rompervi il collo tutt’e due! — E fermatasi: — Santa Vergine! — esclamava —