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PENSIERI E GIUDIZI 55

dànno argomento inesauribile ai suoi discorsi. Egli parla dei casi suoi con sincerità che chiama a torto morbosa, ma che è, a parer mio, l’indice vero di una forza consapevole della propria sanità, non ignara della malizia del mondo, nè dei pericoli a cui sempre si espone, ma sdegnosa delle misere ipocrisie, onde la così detta «gente per bene» si va industriosamente procacciando la protezione dei potenti e i sorrisi della fortuna.

Nella pace serena della campagna, sotto un albero secolare o nel raccoglimento pensoso della casa non turbata da risonanze volgari, i suoi racconti avvivati sempre da un umorismo gentile entrano disinvolti e s’aggirano, con apparente spensieratezza, fra più bizzarri andirivieni dello spirito umano, ne rischiarano gli angoli più riposti, ne fanno osservare le panie, le gretole, i trabocchetti.

L’arte del narratore è di una spontaneità, di una semplicità straordinaria: schiva le crudezze e gli stridori della realtà; aborre dalle eccezioni mostruose; sdegna le manifestazioni violente della umana bestialità; s’insinua invece, indugia per lo più fra le minutaglie della vita cotidiana; ottiene a via di sfumature delicate i rilievi più pittoreschi e più vivi; attinge senza visibile fatica alle fonti più alte del sorriso e del pianto. Ci par di sentire il mormorio di un ruscello, di vederlo discorrere limpido e piano fra l’erbe fiorite, ravvivarsi in cascatelle iridescenti, dividersi in cento rivoletti guizzanti tra sassi muschiosi, nascondersi fra i giunchi del greto, riapparire cresciuto e spumeg-