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mente compensato delle impertinenze e delle perfidie, onde mi han gratificato da trent’anni i truffatori della pubblica opinione e i rivenduglioli della propria coscienza.
I dizionari biografici han dato di me notizie monche, inesatte, maligne; le Antologie, a uso delle scuole, hanno riprodotto di mio pochi versi dei più giovanili e dei più scadenti; i critici e gli storici officiali della nostra letteratura contemporanea han fatto del lor meglio per immolarmi agli idoli armeggioni e ai ciurmadori gloriosi del quarto d’ora. Ma io, della nomea che dànno o tolgono i trafficanti delle scuole e delle gazzette, mi son curato sempre assai poco: molto invece degl’Ideali a cui vivo e nella cui vittoria ho fede incrollabile.
L’arte è stata per me una battaglia perpetua per l’Ideale. Vissuto al di fuori, e, se non fosse superbia, direi al di sopra di tutte le scuole, di tutte le chiese, di tutti i partiti, ma studiandoli e sorpassandoli tutti, io mi sono man mano trasformato, infliggendo al mio animo non pochi tormenti, rinunziando a molte cose che rendono generalmente cara la vita, ascendendo, non so con qual forza d’ale, ma certo con grande ardimento, dalla fede cattolica alla concezione meccanica dell’universo, dalla fede nella monarchia rappresentativa all’ideale umanitario.
Di questo non so se Golgota o Campidoglio o-