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130 MARIO RAPISARDI

un ponte di crisoliti e di rubini, sotto a cui passa impavido Odisseo, l’uomo dal multiforme ingegno, l’osservatore instancabile, il pellegrino perpetuo, in cerca di pace e di libertà; passa impavido fra le caverne divoratrici intronate dagli ululati di Scilla; passa tra le perfide lusinghe delle sirene, agguerrito a tutti i pericoli, pronto a lottare col mostro posidonio, suggellare nell’eterna cecità l’occhio sanguinoso di Polifemo, della tirannide bestiale che si ciba di viscere umane.

E il ponte si va popolando di una teoria infinita di generosi che, cinconfusi da una luce di amore e di carità, corrono dai quattro venti della terra a soccorrere i fratelli percossi dalla sventura, ad affrontare gli stessi pericoli, a sfidare la Natura e la Morte. Ai lor passi la terra desolata si agita, le macerie si aprono qua e là, come sollevate da un’intima forza, e gemiti, e parole e figure umane deformate dalla morte si levano... Oh, scarne tremule braccia brancolanti nel vuoto, disserrate come a un ultimo amplesso! Oh, venerabili fronti canute, spaccate e sanguinanti su le guance disfatte! Oh, profili di giovinette, con la bocca dischiusa a un ultimo accento di amore disperato! Oh, labbra di bambini abbandonati, semiaperte come a cercare la poppa materna! Verso di voi si slanciano i superstiti derelitti, sorridendo e piangendo.... Ma, ahimè, non abbracciano che ombre ed immagini vane; mentre una nuova, meravigliosa visione li attira, li commove, li esalta...