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44 | pensieri e discorsi |
piantarci le tante pianticelle; anche i caldani rotti raccattiamo; anche quei vasi, dove cresceva il garofano di Geva contadinella. E star sempre lì ad annaffiare, a mondare, a potare; e sbirciare i vasi del vicino, e struggerci ch’egli abbia papaveri più grandi e girasoli più vistosi, e buttare a lui il malocchio, e contro il malocchio di lui tener molta ruta, e guardare che non ci si secchi.
Ma tu dirai: Anche il tempo si raccatta! Bene: parliamo d’altro. Non miete, chi non s’inchina. Ora, per la gloriola, ci s’inchina troppo, tanto umile sovente è la pianticella, e ci s’inchina troppo spesso, tante sono. Voglio dire che la nostra anima (l’anima, intendi!) si deforma, si fa gobba, come è la schiena dei poveri contadini che s’inchinano per il grano. E tu devi essere dritta, serena, semplice, o anima mia! Non c’è forse sentimento al mondo, nemmeno l’avidità del guadagno, che sia tanto contrario all’ingenuità del poeta, quanto questa gola di gloriola, che si risolve in un desiderio di sopraffazione! Quando sei preso da questo morbo, tu (ma tu non c’entri, allora), io, non cerco il poetico, il buono e il bello, ma il sonante e l’abbagliante. Oh! non cerco allora i lapilli, i nicchi, i fiori per la mia via, ma veglio inquieto spiando i quaderni altrui, magari leggendo di sulle spalle dello scrittore ciò che egli scrive. Allora io smetto il mio verso, e mi metto a far quello d’altri: come un merlo noioso che canta, in questo mentre, non le sue arie mattinali di bosco, ma la ritirata: perchè, se non per voglia di gloriola, nel suo padrone e forse in lui? O merlo dal becco giallo, tu hai voluto esser troppo furbo! Come puoi credere che il tuo “Io ti vedo!„ che risonava tra il cader