semente, della terra, dei concimi, non ci curiamo più. Quindi avviene che abbiamo, come fisici, filosofi, storici, matematici, così letterati; modo di dire, come coltivatori di canapa, di viti, di grano e d’ulivi, così periti di vanghe e d’aratri, i quali non s’occupano di altro, e credono che non ci si debba occupar d’altro, e stimano, io vedo, che la loro sia la più nobile delle occupazioni. E almeno li facessero essi, codesti strumenti: no, li “giudicano„ e li “collezionano„. Codest’ozio noi chiamiamo ora critica e storia letteraria. E ognuno può vedere che ci sono cose molto più utili e belle da fare: cioè coltivare e seminare. Ma c’è pure, tra le tante branche della letteratura, la poesia che sta a sè, la poesia che comprende in sè tutto ciò che si dice e scrive per diletto, amaro o dolce, suo o altrui. Questa non è rispetto alle scienze quello che lo strumento rispetto al fine. È una coltivazione, poniamo, anch’essa, ma d’altro ordine e specie. È, poniamo, la coltivazione, affatto nativa, della psiche primordiale e perenne. Ma noi la mettiamo insieme con l’altra letteratura “strumentale„, e ne ragioniamo allo stesso modo. La dividiamo per secoli e scuole, la chiamiamo arcadica, romantica, classica, veristica, naturalistica, idealistica, e vai dicendo. Affermiamo che progredisce, che decade, che nasce, che muore, che risorge, che rimuore. In verità la poesia è tal maraviglia che se voi fate ora una vera poesia, ella sarà della stessa qualità che una vera poesia di quattromila anni sono. Come mai? Così: l’uomo impara a parlare tanto diverso o tanto meglio, di anno in anno, di secolo in secolo, di millennio in millennio; ma comincia con far gli stessi vagiti e guaiti in tutti i tempi e luoghi. La sostanza