un po’ di selvetta 1. Chi non dovrebbe preferire la campagna grande alla piccola, quando non toccasse di coltivarla a lui? Ma ai due poeti, quando erano poeti, non si presentava al pensiero questa considerazione così semplice. A dir meglio, il fanciullo che era in loro, preferiva, come tutti i fanciulli, ciò che è piccolo: il cavallino, la carrozzina, l’aiolina. Oh! c’è chi ha rimproverato a Orazio quest’amor della mediocrità! Ma esser poeta della mediocrità, non vuol dire davvero essere poeta mediocre. Il contrario, anzi, è vero. Non ama, chi dice di amare un serraglio di donne. Non è poeta, chi non si fissa in una visione che i suoi occhi possano misurare. E le cose grandi, le cose ricche, le cose sublimi non riescono poetiche, se non sono sentite e dette in persona di chi stupisce avanti loro, perchè appunto esso è piccolo, è povero, è umile. Il poeta è il poverello dell’umanità, spesso anche cieco e vecchio. E se tale non sembra, se anzi è gran signore e giovane e felice, ebbene vuol dire che se è ricco lui, è pauperculus però il fanciullino che è in lui; cioè si è conservato povero, come a dire fanciullo. Perchè poverino è sempre il bimbo, sia pur nato in una culla d’oro, e tende sempre la mano a tutto e a tutti, come non avesse niente e desidera il boccon di pan duro del suo compagno trito, e vorrebbe fare il duro lavoro del suo compagno tribolato. Per questo non Virgilio proprio, ma il fanciullo che egli aveva in cuore, non voleva gli schiavi nei campi. Diremo noi che Virgilio attingesse dai libri di qualche filosofo o di qualche profeta questa legge di libertà? No: egli stesso ne era forse incon-
- ↑ Serm: 2, 6, 1 sqq.