|
antonio mordini in patria |
311 |
passero sul cedro. Nella nostra Italia succedono cose di gran dolore e vergogna. Qui, nella tua terra, no. Per esempio, altrove intere popolazioni devono emigrare e lasciare squallidi i campi che coltivavano. Per esempio, altrove i proletari si stringono tra loro e muovono in lotta contro i borghesi. Qui quali sono i borghesi e quali i proletari? Non li distinguo troppo gli uni dagli altri. Tu pure, o senatore, o tante volte deputato, o prefetto, o ministro, o prodittatore, quando eri in vita, mi empivi sì di riverenza, col tuo tratto, col tuo discorso, coi tuoi occhi; ma nel resto non mi parevi troppo dissimile dai tuoi concittadini nè borghesi nè proletari. Fui nella tua villa: era non altro che linda. Mi assisi alla tua mensa: la tovaglia era di tela di casa, le argenterie erano... di terra giglia, le vivande erano semplicemente cucinate da una brava contadina. Io pensai a Roma... a Roma repubblicana, pensai al motto del poeta che compendia il buono stato di Roma antica. Lo dirò con chiara brevità in volgare: Allora, il mio era piccolo il nostro era grande. Al tempo dei tempi, poco dopo il mille, i barghigiani campavano rosicchiando castagne, e fecero il Duomo. Dicevano: In casa mia ch’io salti anche da un travicello all’altro; benedetta libertà di casa mia!: ma il duomo ha da essere grande, col più bel pulpito di marmo che si possa vedere. Dicevano: Piccolo il mio, grande il nostro. C’era la repubblica anche in Barga, allora. E si è conservata. O non è un grande esempio, questo? nè solo per l’Italia, ma per il mondo? e destinato a ritornare in fiore, quando questa feroce bramosia di ricchezza avrà fatto assai danni, e l’umanità farà senno? E l’Italia, nazione agricola, non farà senno prima delle altre?